Narrazioni (in)autentiche ed ESG: fare meno e fare meglio per costruire valore?

30.11.2023 16:30 - 30.11.2023 19:30
Categorie: Impresa
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Aula 613 - IULM 6
Via Carlo Bo, 7, Milano
Ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria. Per accrediti Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Lo scenario competitivo è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio. Cresce la domanda di informazioni credibili e affidabili sulla reputazione dell’impresa non limitate al profilo generale e organizzativo, ai prodotti e relativi prezzi, ma anche sui rischi di impatti avversi futuri sull’impresa e i suoi stakeholder relativi a un’ampia gamma di aspetti di natura non finanziaria (governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business).

Le aziende oggi devono fare i conti con un mercato veramente globale – non solo in senso geografico, come è noto da decenni – bensì in quanto parte della “rete neurale” della società in cui operano: assolvere al proprio impegno in termini di Social responsibility non significa pubblicare un bilancio sociale con un mero elenco di azioni di beneficenza.

Gli scandali che hanno investito diverse grandi multinazionali, i problemi ambientali connessi alla produzione e al consumo delle risorse, e la rinnovata attenzione degli investitori sul “come” vengono impiegati i loro fondi, hanno posto al centro dell’attenzione la responsabilità socio-economica delle imprese e il grado di autenticità nel prendere atto del proprio ruolo sociale. Oggi, numerose aziende, nel tentativo di adeguarsi agli standard sempre più ambiziosi richiesti dagli enti regolatori e dai consumatori circa i temi della sostenibilità, paiono applicare una strategia di impression management, agendo nel tentativo di influenzare le percezioni e l’impressione generate nel pubblico ma invece esponendole notevolmente al rischio di greenwhashing, ovvero l’adozione di una strategia di comunicazione volta a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva dal punto di vista della tutela ambientale o sociale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai potenziali effetti negativi sugli stakeholder e l’ambiente circostante imputabili alle proprie attività o ai propri prodotti.

La divaricazione tra identità e immagine e i suoi rischi correlati sono stati ampiamente discussi dagli studiosi e specialisti di crisis e reputation management (1): questo concetto è stato inoltre rafforzato dall’analisi di diverse case history ampiamente richiamate in letteratura, come lo scandalo contabile di Enron (2), British Petroleum (3) con il disastro ambientale della Deepwater Horizon, Facebook con lo scandalo Cambridge Analytica (4) e molte altre, che hanno ulteriormente dimostrato quanto la costruzione di una narrazione d’impresa inautentica volta alla proiezione di un immagine non coerente con l’identità della stessa, per cercare di distinguersi e di risultare attraenti agli occhi di tutti gli stakeholder, produca invero dei danni tangibili in grado di generare un rischio reputazionale negativo.

Per ridurre il rischio reputazionale, è evidentemente propedeutico ridurre al minimo, per quanto possibile, le cause scatenanti della possibile crisi reputazionale (5). Una di queste cause risiede appunto, spesso, nell’utilizzo improprio, avventato, incoerente e non genuino della corporate communication e del marketing nei report di sostenibilità (6), costruendo a volte una narrazione in vario modo inautentica circa l’assunzione di responsabilità sociali da parte dell’azienda stessa, e creando quindi sacche di aspettative non soddisfatte da parte degli stakeholder, prodromiche alla generazione di crisi reputazionali endogene od esogene (c.d. fenomeno dell’overpromise: il rischio reputazionale aumenta quando si verificano condizioni per le quali questa corrispondenza tra impegni e performance non è correttamente allineata) (7).

Ad esempio, l’adozione diffusa del reporting ESG ha, come effetto indiretto, l’aver “tranquillizzato” gli investitori e i cittadini, ma, al contempo, ha distratto le aziende dall’attrezzarsi per causare un impatto sociale rilevante riguardo alle questioni realmente centrali per i propri business: come se, assolti gli obblighi ESG, si potesse tirare un respiro di sollievo, con la certezza di aver fatto bene “i compiti a casa”.

Una possibile risposta correttiva di questo scenario potrebbe essere quella di stimolare le istituzioni a applicare il già esistente regime sanzionatorio previsto per le Dichiarazioni Non Finanziarie (DNF, normate dal D.Lgs. n. 254/2016) in caso di violazioni nel processo di accountability delle imprese, specie laddove esse includano palesi violazioni del principio di fiducia verso gli stakeholder. La normativa attuale prevede un regime sanzionatorio applicabile in questi casi (per la precisione da 25.000 a 150.000 euro, a seconda dei casi).

Consob accompagna le aziende interessate a pubblicare una DNF – od obbligate per legge a farlo – con un’apprezzabile progetto pluriennale, che inizia a dare i primi risultati, seppure con ampi margini di miglioramento, e negli ultimi 3 anni ha pubblicato una rendicontazione a riguardo (qui i report in originale, dal 2018 ad oggi). L’impegno dei funzionari Consob è particolarmente rivolto, nel corso dell’attività di vigilanza, a sollecitare alle aziende verso cambiamenti strategici e riflessioni su eventuali non compliance, e nei rapporti pare essere dedicata particolare attenzione ai comportamenti – anche dei Consigli di Amministrazione – relativi alla qualità del processo di materialità.

Lato ammende, pare però che l’impianto sanzionatorio, che pure esiste, non sia mai stato applicato, in una specie di moratoria di fatto, forse in ossequio a una precisa strategia che prevede l’applicazione di una pressione crescente sulle aziende, o per altri motivi non dichiarati, o ancora – osservano alcuni commentatori – a causa dell’assenza di risorse professionali adeguate a esercitare una concreta ed efficace azione di controllo da parte appunto della Consob, che dovrebbe effettuare l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni sulla base di verifiche effettuate a campione, delle quali però, paradossalmente, la relazione annuale della Consob stessa non riporta alcunché, con il risultato che chi dovrebbe vigilare sulla corretta rendicontazione non rendiconta a sua volta, o rendiconta solo parzialmente.

In quest’ottica, la giustizia ci sta mettendo del suo:  è recente la prima condanna a carico di un’azienda per pubblicità scorretta in campo ambientale. A quando allora il reato di Greenwashing nelle comunicazioni sociali obbligatorie in campo ESG, e – perché no – in quelle facoltative?

Nel frattempo, il Legislatore si impegna a fare chiarezza: è infatti in corso di discussione e approvazione il primo Regolamento UE sul tema dei rating ESG, che sta stimolando un intenso dibattito tra gli addetti ai lavori.

Come insegnano la storia dell’economia aziendale, della ragioneria e del diritto, senza sanzione non esiste norma efficace, ed anche quando è prevista una sanzione, in assenza di applicazione puntuale della stessa le violazioni si moltiplicano. Le trasgressioni del patto etico e di trasparenza che dovrebbe legare aziende e stakeholder verranno finalmente, prima o poi, considerate alla stessa stregua dei falsi in bilancio?

A questa “provocazione” si aggiunge un tema – di enorme importanza, e spesso sottovalutato nella sua complessità sia dalle aziende che dai relatori pubblici e consulenti – che è quello relativo alle nuove Direttive UE recentemente approvate, per alcuni percepite come stimolo per la creazione di valore sul medio-lungo termine tramite una rendicontazione efficace, per molti altri “inutile” e ulteriore adempimento burocratico, da risolvere con soluzioni a basso costo (nuovamente) solo di immagine e non di sostanza.

Quest’evento – organizzato da FERPI – Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, in collaborazione con enti partner di primaria importanza, desidera rispondere a queste domande e stimolare il dibattito e la riflessione tra gli addetti ai lavori e sui mass-media.

Programma

16.30 - ingresso e registrazione dei partecipanti
17.00 - introduzione di Filippo Nani, Presidente FERPI
17.10 - focus “Fake ESG”, con Luca Poma, Professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma, Alessandra Dolci, Magistrato, coordinatore Direzione Distrettuale Antimafia di Milano – Massimiliano Corsano, esperto di sostenibilità e reati in materia ambientale
17.30 - talk/tavola rotonda sul tema della reputazione moderata da Luca Yuri Toselli, giornalista specialista in sostenibilità ambientale e sociale, con la partecipazione di:
Alberto Pirni, Professore di Filosofia morale alla Scuola Superiore Sant’Anna - Pisa, Lucia Dal Negro, Presidente DELAB, Federica Doni, Professore di Economia Aziendale all'Università Bicocca, delegata Fondazione OIBR, Federica Ricceri, Professore di Economia Aziendale e esperta in Sustainability Reporting, Roberto Scrivo, Chief Public Affairs, Corporate Communication & Sustainability Officer del Gruppo Engineering, Barbara Cimmino, Head CSR & Innovation gruppo Yamamay, Nicola Menardo, Avvocato – Studio legale Grande Stevens, Matteo Aiolfi, chairman Espresso Communication, Giorgia Grandoni, consulente e ricercatrice del Centro studi della startup innovativa Reputation Management
19.20 - Q&A con il pubblico
19.30 - chiusura lavori

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