Biopsia Liquida in Oncologia: a cosa serve e quando utilizzarla in clinica
Allo stato attuale, le cosiddette “biopsie liquide” o, più propriamente, l’analisi del DNA tumorale circolante (ctDNA) costituiscono senza dubbio un valido strumento per accertare la malattia minima residua e per ricercare le “mutazioni bersaglio” per specifici bio-farmaci. I liquidi biologici da cui si può estrarre ctDNA sono vari (sangue, urine, liquido cefalorachidiano), ma la matrice di partenza principale è il sangue intero da cui è possibile ottenere anche ctRNA, miRNA la cui applicazione clinica è ad oggi ancora limitata pertanto ci focalizzeremo solo sul ctDNA. Il vantaggio di quest’approccio è: a parte la minima invasività, il principale vantaggio dell’analisi del DNA tumorale circolante (ctDNA) consiste nella possibilità di ottenere uno spettro di informazioni che tenga conto di tutti i possibili cloni in cui, sotto la spinta selettiva terapeutica, il tumore primitivo si differenzia nel tempo (al contrario, analizzando il DNA di una singola cellula tumorale circolante si otterrebbero informazioni limitatamente al clone a cui essa appartiene). Per tale ragione, le informazioni ottenute dall’analisi del ctDNA sono “attualizzate” e spesso significativamente differenti da quelle utilizzate analizzando il tessuto tumorale escisso chirurgicamente tempo addietro.
La difficoltà nell’adottare questo approccio risiede nell’elevata frammentazione del DNA tumorale circolante; tipicamente il ctDNA si presenta in frammenti inferiori ai 100 bp (paia di basi) il che rende particolarmente difficile la sua estrazione e richiede metodiche specifiche con alta specificità e sensibilità. La causa di tale frammentazione sono le nucleasi, il cui compito è di lisare il DNA libero circolante (cf-DNA) normalmente rilasciato dalle cellule necrotiche, che però risultano inefficienti quando il frammento è talmente piccolo da essere “mascherato” da proteine associate al DNA (quali ad esempio gli istoni).
Ma non dimentichiamo che il ctDNA rappresenta una piccolissima percentuale del cf-DNA e che di tale percentuale, a causa della variabilità individuale legata al grado di metastatizzazione e al danno tumorale, non è possibile stabilire una soglia standard. L’unico modo per risolverlo è riuscire ad estrarre la maggior quantità possibile di cf-DNA, evitando contaminazioni del DNA proveniente dalle cellule ematiche, assumendo che, per ottenere la minima quantità di ctDNA necessaria all’analisi, sia necessario estrarre almeno 3000 molecole di cf-DNA.
In conclusione, una accurata biopsia liquida non può prescindere dalla quantizzazione del cf-DNA altamente purificato. La sequenziazione NGS ci viene in aiuto dal momento che assicura un elevato grado di sensibilità nel rilevare varianti note e ignote e permette di analizzare pannelli molto ampi di geni, ma è più costosa e di difficile interpretazione pertanto trova più ampia applicazione in trials clinici o in ambito immunoterapico ad esempio, per il calcolo del carico mutazionale tumorale (TMB).